25 aprile. Festa della Liberazione

In occasione del 65esimo anniversario della Festa della liberazione dell’Italia dal nazifascismo, avvenuta grazie alle forze alleate e alla Resistenza, rimetto il mio pensiero nell’articolo del segretario dell’associazione nazionale partigiani cristiani (ANPC) apparso oggi su Avvenire 25.04.2010. Esprimo anche piena condanna agli episodi di contestazione da parte di alcune frange estreme contro le autorità pubbliche  che erano presenti alla commemorazione del 25 aprile a Roma e a Milano

«Memoria condivisa senza monopolizzazioni» 65 anni dopo

«Non è accettabile la riduzione della Resistenza in schemi di parte e neppure l’intento di sottovalutare la partecipazione dei credenti: un apporto che fu determinante»

L’ Italia celebra il 65° an­niversario della Libera­zione e la fine del se­condo conflitto, rendendo in­nanzitutto il doveroso omaggio a tutti coloro che sacrificarono la vita per ridare libertà al Paese. U­na celebrazione quanto mai si­gnificativa, con il richiamo a quei valori che hanno caratterizzato un periodo drammatico della no­stra storia nella lotta al nazifasci­smo, nella ribellione alla prepo­tenza, all’ingiustizia, alla nega­zione della dignità della perso­na. Malgrado il tempo trascorso, non possiamo ignorare il travaglio di uomini che hanno saputo lotta­re fino a dare la propria vita per gli ideali che ritenevano giusti; le grandi sofferenze di intere popo­lazioni che hanno pagato un prezzo altissimo; il dramma di molti giovani strappati ai loro af­fetti, costretti a impugnare le ar­mi; l’Olocausto di milioni di e­brei nei campi di sterminio. E­venti vissuti da un popolo che a­nelava a vivere in pace, con di­gnità e nella solidarietà.Vivere u­na nuova vita, fondata sui valori di libertà e di eguaglianza, di ri­pudio della guerra e nella mani­festata volontà della collabora­zione internazionale. Nessuno può ignorare che l’an­tifascismo operante durante il re­gime mussoliniano fu, indub­biamente, la ragione ‘storicisti­ca’ in cui si sprigionò la forza propulsiva della rivolta e che og­gi costituisce un baluardo di ga­ranzia democratica contro qual­siasi totalitarismo. Tuttavia la Re­sistenza non fu solo un glorioso fatto d’armi ma, soprattutto, un travolgente moto di popolo, un grande movimento di ideali e di azioni; la presa di coscienza di u­na nazione nelle giornate più tri­sti della sua storia; una rivolta che vide impegnati uomini e donne uniti dall’ansia di poter essere cit­tadini di una società libera, in no­me di quella democrazia senza la quale non può esserci giustizia sociale. Ecco perché, a coloro che anco­ra oggi si chiedono se la Resi­stenza fu ‘guerra giusta’, va ri­sposto che lo fu, in quanto non mirava alla conquista di territo­ri e neppure ad abbattere un ti­ranno, dato che con la caduta del fascismo il 25 luglio 1943 e la co­stituzione del governo Badoglio, il futuro di Mussolini era segna­to. Ma fu lotta ai soprusi, alle in­timidazioni, ai massacri, alle de­portazioni. Era la ribellione del­l’oppresso contro l’oppressore. Certamente fu una guerra dura, con il coinvolgimento di intere popolazioni, con i sacrifici, gli or­rori e gli errori della guerra. E an­che dopo, malauguratamente, non mancarono episodi gravi di violenza e di vendetta che però nulla avevano a che fare con la Resistenza. A chi parla di ‘guerra civile’, va osservato che guerra civile si ha quando una popolazione si spac­ca su due fronti contrapposti con forze del tutto o quasi equiva­lenti. Non basta, infatti, che vi sia dall’altra parte un certo numero di connazionali per poter defini­re una guerra di liberazione ‘guerra civile’. E, per la Resi­stenza, il nemico da combattere era il tedesco invasore, anche se, in minima parte, fu guerra fratri­cida, per l’esistenza della Repub­blica sociale di Salò al servizio dei nazisti. Non c’è dubbio che anche senza la Resistenza, le forze anglo­americane che al momento del­l’armistizio (8 settembre 1943) già erano sbarcate nel Sud, ci a­vrebbero liberati. Ma se Alcide De Gasperi, quale presidente del Consiglio, nell’immedato dopo­guerra potè parlare a fronte alta ai governanti dei Paesi vincitori lo si deve soprattutto a chi, in quel drammatico periodo, scelse di stare dalla parte giusta. Va perciò detto che non è accettabile la monopolizzazione della Resi­stenza in schemi di parte e nep­pure l’intento di taluni storici che tendono a sottovalutare la parte­cipazione dei cattolici: un ap­porto che fu consistente, non ra­ramente determinante, comun­que sempre essenziale. Il passato – non lo dimentichino le nuove generazioni – va studia­to e meditato, anche perché la memoria è l’anima profonda di un popolo. Perché, allora, po­tremmo chiederci, talune cele­brazioni previste dal nostro ca­lendario, quali la Giornata della Memoria (27 gennaio) a ricordo della liberazione dei deportati di Auschwitz e delle vittime dell’O­locausto; l’anniversario della Li­berazione (25 aprile); la Festa del­la Repubblica (2 giugno); la Gior­nata delle Forze Armate e dell’U­nità nazionale (4 novembre), per­ché non dovrebbero avere l’una­nime partecipazione e condivi­sione dei cittadini, a comprova della ritrovata pacificazione na­zionale? Guardandoci intorno, dove sembra prevalere un clima di continua conflittualità, non è fuori luogo affermare che c’è bi­sogno di un risveglio delle co­scienze, del recupero di una comprensione gene­rale, del rispetto delle opinioni altrui, del dialogo costruttivo per il bene comune, di u­na ‘memoria condivi­sa’, per costruire, gior­no per giorno, l’edifi­cio della libertà e del­la giustizia sociale. A­stenersi da questo im­pegno, significhereb­be offendere il passato e compromettere il futuro.

Bruno Olini

Segretario dell’Associazione nazionale partigiani cristiani (ANPC)