Analisi post referendum

Il 57 % degli italiani è andato a votare per i quattro referendum. Dopo 16 anni è stato raggiunto il quorum per il referendum; gli italiani hanno riscoperto l’istituto referendario e hanno espresso la loro opinione. Un’indicazione importante che il sistema politico italiano dovrà tenere conto sia a destra sia a sinistra, considerato però che l’esercizio della democrazia diretta in questo paese dovrebbe essere meno politicizzato e più obiettivo.

I referendum si sono svolti in un clima politico caratterizzato dal declino del centro destra guidato da Silvio Berlusconi e dalla Lega di Umberto Bossi, che è iniziato con la sconfitta alle amministrative e che ha avuto un altro segnale politico con il voto dei referendum.

Utilizzare poi, come i partiti di sinistra hanno fatto (PD, SEL, IDV, ecc), i quesiti referendari contro il governo di Berlusconi ha caricato di significato politico questo voto, facendo perdere il valore oggettivo e il merito delle questioni che si andavano a valutare e spingendo così gli elettori ad andare a votare pro o contro il Governo. L’unico quesito che era oggettivamente politico era il quarto, sul legittimo impedimento, anche se ormai giuridicamente depotenziato dalla Corte Costituzionale che gli aveva fatto perdere quel valore ad personam che poteva avere quando approvato. Oggi gli elettori hanno detto no alla possibilità di far gestire anche ai privati i servizi pubblici (acqua, luce, gas, rifiuti, trasporti), hanno detto no agli investimenti privati, no alla ricerca e al coordinamento europeo sulle fonte energetiche, anche nucleare. Opinione sacrosanta. Il punto è che se i referendum sono abrogativi, in vigore ritornano le leggi precedenti e mi chiedo se con le normative attuali sui servizi pubblici locali e sull’energia il Paese è migliorato e se potrà mai migliorare. Il referendum in Italia è abrogativo, forse avremmo bisogno di quello propositivo.

Questione quorum. Sono un convinto sostenitore che l’astensione ai referendum sia una delle modalità di partecipazione al voto semplicemente perché lo prevede la Costituzione all’articolo 75: La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. Quindi i padri costituenti hanno introdotto implicitamente anche questa modalità di voto. Basta andarsi a leggere i lavori della Commissione dei 75 e un po’ di storia di diritto costituzionale non guasta mai. Altrimenti l’astensione non veniva introdotta e chi sostiene che il voto è un diritto e un dovere ha ragione, soprattutto per quanto riguarda le elezioni di carattere politico (dall’elezione nei Comuni fino al parlamento europeo), ma sui referendum il non voto è anch’essa una scelta, non è ignavia, menefreghismo o disinteresse, ma può essere una scelta consapevole. Così ho scelto io, almeno sui quesiti dei servizio pubblici e della tariffa sul servizio idrico integrato per i quali non ho ritirato le schede perché nel merito, leggi alla mano e dati statistici, erano della norme innovative (almeno la prima; la seconda era in vigore dal 1996, ma non ce ne eravamo accorti e solo oggi l’abbiamo abrogata). E poi non possiamo certo considerare questi 16 anni in cui si sono svolti i referendum abrogativi come anni di disinteresse dei cittadini italiani sui temi per i quali non è stato raggiunto il quorum, probabilmente non erano stati caricati di quella parte di valenza politica che hanno avuto questi referendum.

Dopo un mese di campagna elettorale non penso che rievocare le dimissioni di questo governo sia salutare al paese perché la legislatura deve durare fino al 2013, se ha ancora i voti per farlo. Non si cade sulle elezioni amministrative o sui referendum, si perde con la mancata fiducia alle Camere.

Le sfide incombono, l’economia non decolla e bisogna liberare risorse per tornare alla crescita e non è certo il momento di essere senza una guida politica o ricominciare un’altra campagna elettorale, oggi al governo con questo centro-destra, domani chissà.