Elezioni politiche 2018: chi salirà al Quirinale?

Fra 10 giorni, domenica 4 marzo,  si vota per le elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento e gli ultimi definitivi sondaggi pubblicati, prima del silenzio elettorale, indicano che mediamente il 30% degli Italiani è ancora indecisa a esprimere la propria preferenza, una percentuale molta alta che farà la differenza il prossimo 4 marzo.

I sondaggi indicano la coalizione di centro destra in vantaggio sugli altri sfidanti, pur non esprimendo un premier in maniera chiara: Berlusconi è incandidabile, ma rimane un inevitabaile giocatore della scacchiera politica, Salvini, potenziale premier, si pone su posizioni poco moderate e divisive.

La coalizione di centro sinistra si candida divisa dopo questi ultimi tre anni di Governo. La strana maggioranza di questi ultimi anni, sostenuta dai fuoriusciti di Forza Italia guidati da Verdini e Area Popolare guidata da Alfano, che hanno sacrificato gli ideali al potere di governo, ha spinto fuori l’ala più di sinistra del Partito Democratico. A sua volta questo paga una divisione interna perché, se Gentiloni, quale premier uscente del PD, gode di pieno appoggio nei sondaggi, il partito guidato da Renzi è dato perdente. Due stili e due modi diversi di fare politica: l’uno moderato nei modi e nello stile, l’altro arrogante e supponente. Renzi, che sembrava incarnare una nuova generazione di politici in Italia, tuttavia per toni e scelte, nella seconda parte del suo mandato, ha fatto tramontare la propria spinta innovativa conclusasi con la bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

Liberi e Uguali riunisce i resti di una sinistra di testimonianza che più per vedetta nei confronti di Renzi che sui contenuti ha deciso di non correre insieme alla coalizione di sinistra.

Infine l’altro maggior competitor è il Movimento 5 stelle: dai sondaggi risulta il primo partito, quello che istituzionalmente dovrebbe ricevere l’incarico per tentare di formare un Governo, ma di fatto non avrà la maggioranza parlamentare. Il M5S deve la sua visibilità al comico Beppe Grillo che ha lanciato una serie di personaggi più o meno anonimi, che ora guidano il movimento. L’esperienza preparlamentare di Di Maio, candidato premier, è praticamente insistente sia sul profilo professionale sia politico. Uno degli obiettivi del movimento ovvero quello di assorbire l’astensionismo non è stato raggiunto in questi anni. Tuttavia la capacità comunicativa fatta di slogan semplici ed efficaci hanno toccato e toccano la pancia degli elettori, nonostante nel Movimento emergano posizioni tra loro contraddittorie: prima il No all’Euro, poi europeisti convinti; fautori dell’onestà e della giustizia più giacobina, poi cadono nella loro stessa trappola dei mancati rimborsi dello stipendio parlamentare. Ma ancor di più stona in maniera più assoluta, a livello ligure, certe posizioni sulle grandi opere e una visione politica di una Regione e dunque di un Paese miope: pensare che la Liguria possa sopravvivere di solo turismo e negare tra le grandi opere, il Terzo Valico, per dare ossigeno a Genova e a tutto il territorio, è una visione senza futuro (se non si garantisce la mobilità come si pensa che arrivino anche i turisti?). Non solo perché bloccare i lavori significherebbe chiudere dei cantieri già operativi con conseguente disoccupazione e avere una montagna già scavata senza essere funzionale, ma vuol dire negare una prospettiva occupazionale ad una terra ormai orfana di grandi aziende (e relativo indotto) che chiedono terreno fertile per crescere e far muovere persone e merci non solo in Italia, ma collegandosi con il Mediterraneo, il Nord Europa e l’Asia.

Per il centro sinistra governare è stato più un onere che un onore perché i problemi affrontati sono stati molti e molto sentiti. Il lavoro è la questione più dirimente dal 2008 perché non solo ha messo i giovani in difficoltà, ma anche gli adulti 40/50enni che sono stati costretti ad uscire dal mondo del lavoro e si sono dovuti reinventare e trovarsi in lunghi periodi di disoccupazione. Il Job Act ha dato frutti limitati perché, da una parte, ha sgravato le imprese dagli oneri delle assunzioni a spese dello Stato per tre anni, dall’altra, ha frenato la riprese occupazionale, terminata la fine degli incentivi. La questione degli immigrati è stata molto percepita perché l’Italia è stata lasciata sola a gestire una situazione internazionale.

L’Europa avrà anche contribuito indirettamente con i propri fondi comunitari alla gestione dei centri di accoglienza ma non può rimanere senza una politica unitaria sull’accoglienza, senza governare comunitariamente e in maniera strutturale i flussi di persone (!) con accordi dai Paesi di provenienza. Non si può lasciare alla buona volontà dell’Italia la sottoscrizione di accordi con i paesi di partenza senza che l’Europa con l’Alto Commissariato non faccia sentire la propria univoca voce. Questa inerzia è un grosso limite di questa Europa: la Commissione Europea è tanto determinata e rigorosa nel fare rispettare i vincoli di bilancio e le politiche bancarie quanto inesistente sulla questione immigrati. Governo dei flussi, accoglienza ed integrazione con adeguate e monitorate risorse dovrebbero essere il fondamento di una politica che dà anima a tutta l’Europa.

In tal senso è fuori luogo la visione politica che porta avanti il movimento radicale +Europa di Emma Bonino secondo la quale l’accoglienza degli immigrati senza se senza ma è il futuro dell’Italia. Non stupisce questa posizione radicale di un esponente che ha un’accezione particolare sull’accoglienza: tanto favorevole agli immigrati quanto cieca sulla vita nascente. Del resto l’ex ministro degli Esteri non ha espresso nessuna parola sul fatto che l’Italia anagraficamente, in particolare sotto il profilo della natalità, stia morendo (-12.000 nati nel 2014 sul 2013, – 17.000 nati nel 2015 sul 2014, -12.000 nati nel 2016 sul 2015. Fonte ISTAT). Sostenere in maniera strutturale la famiglia (conciliazione lavoro/figli, fattore famiglia, etc) non rientra nella visione valoriale dei radicali.

Infine non mi stupisce il fiorire di formazioni politiche, in particolare, di estrema destra perché non c’è tanto un ritorno del Fascismo 2.0 quanto un’emergenza educativa e comunicativa tra i giovani e nel Paese in generale che alimentano questi movimenti. L’emergenza educativa si annida nel fatto che le istituzioni (soprattutto il ruolo dei genitori e l’autorevolezza della scuola) stanno abdicando alla loro missione di formazione e di trasmissione valoriale, dunque laddove c’è l’assenza di identità, presto le proposte forti ed estreme fanno presto a riempierlo dando un senso di appartenenza. Quella comunicativa è legata invece al fatto che prendono campo modelli dialogici, quali i talk show urlati, o digitali, dove il confronto verbale diventa violento e aggressivo, stili stanno diventando diffusi e che sono fatti propri dalle formazioni estreme, dove il confronto è negato.

Lavorare su questi due aspetti aiuterebbe le persone prima e i cittadini poi a ragionare di più.

La sera del 4 marzo si saprà chi salirà al Quirinale per formare il nuovo Governo.

Se ci sarà una forza politica maggioritaria, si assuma l’onere della guida del Paese. Se così non fosse, si valuti nei tempi più brevi possibili la scelta di un eventuale Governo di larghe intese che agisca su alcuni punti fondamentali e prioritari da attuare per il bene delle famiglie, delle imprese e dei giovani. Questa strada non deve essere demonizzata (in questo senso la Germania può essere maestra, come il recente governo di Große Koalition) perché su alcune questioni il Paese non può essere diviso: si può litigare sul colore da dare alle pareti di casa, ma sulle fondamenta si deve essere tutti d’accordo.

Di seguito si riporta un esempio di scheda elettorale che verrà consegnata alle urne:

rosa alla Camera

http://dait.interno.gov.it/documenti/5_prova_camera_14_liste_340_x297.pdf

gialla al Senato

http://dait.interno.gov.it/documenti/5_prova_senato_14_liste_340_x297.pdf

Queste sono le seguenti modalità di voto:

  • barrare solo il simbolo di un partito (quota proporzionale);
  • barrare solo il nome di un collegio uninominale (quota maggioritaria);
  • barrare sia il partito sia il nome del collegio uninominale all’interno della stessa coalizione (non è possibile il voto disgiunto ovvero un partito di una coalizione e il collegio uninominale di un’altra);
  • non possono essere espresse preferenze (non si possono scrivere nomi e cognomi, ahimè!) barrare nomi e cognomi.

L’invito è di andare a votare, non fermarsi agli slogan e di leggere e conoscere le proposte politiche (anche cercando i programmi sui siti dei partiti che si presentano!). E’ uno sforzo che ogni cittadino dovrebbe compiere: non lasciamo che siano gli altri a decidere per noi, ma ciascuno, pur nel male minore, esprima la propria preferenza.

Buon voto consapevole a tutti!

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